Il Taiji è un’arte, un metodo, che procede per sottrazione. Un togliere più che un aggiungere, un lasciar andare quello che è superfluo per arrivare all’essenziale. E’ avere accesso a un ricordo, a una sapienza antica e senza tempo: “il Tao è una via del ritorno”, recita il Tao Te King.
Viviamo immersi in un mondo ricco di stimoli e distrazioni. Il taiji ci invita a invertire la rotta, a condurre lo sguardo verso l’interno, a esplorare il corpo e il movimento attraverso la percezione attenta.
Questo semplice spostamento dell’attenzione inizia un processo profondo di consapevolezza: il corpo non è uno spazio chiuso, i suoi confini sono permeabili: il corpo umano è in relazione. Lo è costantemente attraverso il movimento del respiro, lo è attraverso la pelle e attraverso quel che la medicina cinese chiama i cancelli o le porte: connessioni energetiche facilmente percepibili a chi si mette in ascolto. Per esempio sotto piedi, al centro delle mani e all’apice della testa.
L’uomo è connesso alla terra, al cielo e agli altri abitanti del suo pianeta in una relazione irrinunciabile per il suo stesso nutrimento, per la sua stessa sopravvivenza. Il taiji ci ricorda questa appartenenza, ce la fa sentire attraverso una esperienza intima e reale, non con un ragionamento. In questo modo questa esperienza diventa parte di noi, della nostra memoria e del nostro corpo.
In questi nostri tempi così incerti e prodighi di confusioni, in cui diveniamo facile preda di notizie di cui è difficile e a volte perfino impossibile stabilire la veridicità, si fa sempre più necessario trovare dentro di noi le risposte che guidino le nostre azioni; ricordare le nostre appartenenze reali e profonde, il rapporto con i nostri corpi e con la natura; riconoscere i ritmi e i bisogni fondamentali della nostra vicenda di umani abitanti del pianeta terra.